Poco più di 10 anni fa scrivevo: 

"Mi risulta ancora difficile aprirmi a Dio , la mia razionalità spesso prevale: il mistero è qualcosa che mi interessa, mi invade, mi tormenta e che avvolge la mia esistenza . Questo mistero  mi induce però al raccoglimento che mi spinge a prendere contatto con una realtà invisibile che continuamente mi interroga".

E sono ancora qui, alla fine di settembre 2020, ad interrogarmi, a farmi domande. Mi sembra di non fare passi avanti. L’errore, il mio, è forse pensare di poter afferrare qualcosa di inafferrabile, impossibile da possedere: la fede, e più precisamente la fede in un Dio incomprensibile, misterioso, lontano e invisibile.

 Il mio interrogativo riprende, oggi, quello di Sant’Agostino, che si chiedeva come mai la natura originaria, armoniosa perché creata da Dio, che non doveva conoscere dolore e tristezza ad un certo punto sia caduta, cancellata, svanita.

Lui ha pensato di trovare la colpa nel peccato originale che ha rovinato e inquinato tutto.

Ma è accettabile questa spiegazione? Può appagare il desiderio di conoscenza oppure questo dogma rischia di offendere l’ intelligenza dell’uomo, essere un insulto al desiderio di comprendere, alla vita stessa?

Mi chiedo semplicemente: perché Dio ci ha creati così fragili da soccombere già alla prima tentazione (Adamo ed Eva)? Di chi è la responsabilità del peccato originale? 

San Paolo dice di avere un doppio cuore: riconosce il bene ma non ha la capacità, la forza di attuare il bene, quindi non sono io che pecco, ma l’incapacità che è innata in me che pecca in me. Dunque perché c’è una spaccatura tra ideale e reale intrinseca all’uomo? 

E’ questa la domanda che oggi mi pongo, insieme a tante altre che mi 

tormentano e mi fanno sentire incapace di prendere una decisione, rimanendo in posizione di stallo nella complessità dell’argomento che mi intriga.

 

                                                                  Aprile  2018