La mia è una banale considerazione sulla scuola e in particolare sugli Istituti Professionali, dopo circa 34 anni di insegnamento.

Ho iniziato la mia professione nel 1980 quando le ore di laboratorio erano 16 e i ragazzi tanti ed entusiasti. Il docente aveva il tempo di dare tutte le informazioni necessarie per una efficace formazione tecnica da spendere successivamente nel mondo del lavoro.

Appena dieci anni dopo è iniziato, dal mio punto di vista, il declino degli Istituti professionali in primis, con il progetto 92, e della scuola in genere poi.

La scuola vuole rilanciare l'offerta formativa degli istituti professionali di stato adeguandola, in termini di equilibri culturali e di professionalità puntando sul potenziamento della formazione di base umanistica e professionale. In linea teorica l’intento risulta certamente condivisibile!

L'obiettivo finale della scuola in seguito diventa però la "soddisfazione del cliente".

Nei documenti ufficiali si legge:” Il concetto di "cliente", mutuato dal mondo della produzione, deve, in questo contesto, essere riferito a genitori e studenti, al sistema economico-produttivo, alla società, agli operatori della scuola e ad altri soggetti che sono interessati al "prodotto" della scuola”.

La scuola diventa un supermercato che deve offrire di tutto e di più. Non è più luogo di formazione.

Le ore di laboratorio passano da 16 a 4. I ragazzi, non certo assetati di saperi e inclini allo studio teorico, non trovano più la motivazione che li aveva spinti a scegliere un istituto professionale, aumenta inevitabilmente la dispersione scolastica.

In nome di ideali, si fanno, a mio parere, delle scelte successive quanto meno infelici:

Si introduce il concetto di qualità nella scuola così come nelle aziende, una serie di norme che garantiscono la standardizzazione della produzione: non la “bontà” del prodotto, ma il rispetto rigoroso dei procedimenti produttivi, tanto di un pezzo meccanico che di un pollo allevato in batteria.

Come conseguenza aumenta in modo sconsiderato “la carta”: moduli, modelli, processi, percentuali per qualsiasi futilità.

Ne scaturisce un groviglio di Leggi, Decreti, CM ( come se non bastassero quelle esistenti).

Le scuole, come i grandi magazzini, preparano la loro “offerta” che inopportunamente viene denominata formativa.

Proliferano attività e progetti e sempre meno tempo si dedica alle discipline.

Ora, se in nome di una scuola uguale per tutti, almeno fino ai sedici anni, si finisce per perdere per strada un enorme numero di ragazzi, non è forse il caso di far tesoro delle strategie didattiche e formative che negli anni sono state accuratamente pensate e che ora abbiamo a disposizione, per recuperare il maggior numero possibile di ragazzi per i quali forse è l’ultima occasione affinché si impossessino degli strumenti culturali e professionali indispensabili per evitare l’ emarginazione e la strada?

Come diceva Sergio Fortuna del CUB, "non si vuol negare l’innovazione, l’organizzazione, l’efficienza, si vuole rifiutare una logica unica e totalizzante, una serie di dogmi. Si possono accettare benissimo riforme strutturali, sistemi di controllo, metodi di valutazione e certificazione. Basta che si possano anche discutere, che sia possibile una valutazione critica che tenga conto della complessità del sistema scuola, considerando tutte le variabili possibili, non solo quelle aziendalistiche, magari ristrette al metro della soddisfazione del cliente misurata con sondaggi di gradimento".

   Resta il fatto che in una società dove risuonano enfaticamente parole come democrazia, libertà, diritti, solidarietà, si va imponendo subdolamente un regime tecnocratico che praticamente è la negazione di queste.

 

                                                                  ottobre 2008