L’immigrazione fa parte della storia dell’umanità. In epoca relativamente recente è stata definita e disciplinata in relazione al concetto di nazione che a sua volta si basa sull’idea di comunità omogenee, armonizzate e racchiuse entro confini definiti. Gli immigrati hanno sempre rappresentato un problema per la formazione di società diverse in quelle nazioni che li accolgono sotto l’insegna della bandiera nazionale perché portano cultura, lingua, abitudini diverse che scompaginano ordini consolidati. 

Gli immigrati sono definiti dall’ONU persone che attraversano un confine, si spostano in un paese diverso da quello di origine nel quale rimangono per almeno un anno. Questo per dire che certamente non sono turisti o partecipanti ad eventi e congressi di pochi giorni.

Nella mentalità comune però i cittadini francesi, tedeschi, americani, cinesi ecc. non sono considerati immigrati anche se risiedono stabilmente nel nostro paese, così come i cosiddetti “extracomunitari” (concetto giuridico che indica non appartenenti alla UE).

Cinesi, giapponesi, americani, Coreani sono immigrati se vivono nel nostro paese, ma nessuno crea problemi o contesta loro la libera circolazione, di entrare e uscire dal nostro paese a piacimento di portare con sé la propria famiglia. Gli stessi sono anche extracomunitari ma nessuno paradossalmente usa per loro questo termine mentre lo si fa per i rumeni.

Si desume che per molti, forse troppi, immigrati ed extracomunitari sono solo gli stranieri che provengono da paesi poveri, mai da quelli sviluppati. Ma ci sono le eccezioni: se un cittadino di un paese povero diventa famoso, come alcuni calciatori e sportivi, non è etichettato come immigrato perché, come ha detto il direttore della rivista “Mondi Migranti”, la ricchezza lava più bianco.

Per quanto mi riguarda noi siamo solo uomini ospiti di una terra della quale non siamo proprietari pertanto i termini immigrato ed extracomunitario, in una visione ingrandita, cristiana e direi pragmatica assumono scarso significato.