La Quaresima è il tempo forte per eccellenza della conversione e del ritorno a Dio a favore del prossimo. E’ il tempo che ricorda ad ognuno di noi la necessità di pensare seriamente alla testimonianza nella propria vita cristiana. Nell’antichità, in attesa della Quaresima, aveva significato anche il Carnevale, che vuol dire carnem levare, togliere la carne dalla dieta quotidiana per non infrangere i rigidi precetti dell’astinenza e del digiuno quaresimali. Il Carnevale era atteso come un momento di festa, in vista della penitenza; e anche se per molti significava godere, spesso in forma di trasgressione, riservandosi di pentirsi successivamente, la Quaresima, che consisteva in quaranta giorni di riflessione guidata, attraverso il digiuno nella preghiera, era vissuta per lo più con adeguata consapevolezza.

Ai giorni nostri, invece, di più pallida fede e di più facili costumi, il Carnevale trionfa come una festa a sé, e la Quaresima si ritira troppe volte nei fortilizi della Liturgia, riducendo a rito il campo della riflessione e della conversione. La mia provocatoria conclusione è che il carnevale, periodo perfetto per apparire diversi, tempo di maschere e di finzioni, ha esteso il suo dominio all’intero arco dell'anno. Convinzione questa che nasce dalla constatazione di far parte di una società avvolta e soffocata da una densa coltre di ipocrisia. La vita sociale e religiosa origina spesso dei comportamenti, delle convenzioni, delle forme che si svuotano di contenuto, cristallizzandosi. E queste forme sono “maschere”, ruoli che ci imprigionano e ci impediscono ogni contatto con la vita vera e autentica che scorre dentro di noi. In una rete di rapporti finti e menzogneri, tutti rimaniamo imbrigliati nelle nostre maschere, dentro le quali ci sentiamo vivi e realizzati, mentre soffochiamo, fino a dimenticarcene, i sogni e i desideri di verità e libertà. E’ tempo di toglierci la maschera, così come facciamo quando torniamo dalla sfilata, di sfondare le pareti della finzione, di denunciare senza paura l’inganno e la falsità che si celano dietro il velo delle apparenze, perché solo così possiamo scoprire, sotto il riso, la “debolezza umana che deturpa e degrada la dignità dell’uomo” (Bonhoeffer, Resistenza e resa, lettera del 10 agosto 1944) e ridare importanza all’”esempio” che solo dà forza alla “parola” (Bonhoeffer, Resistenza e resa, Progetto per uno studio).

                                                            Marzo 2011